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domenica 25 maggio 2008
A te.
A te io canto una canzone, perchè non ho altro,
niente di meglio da offrirti di tutto quello che ho,
Prendi il mio tempo e la magia che con un solo salto
ci fa volare dentro all'aria come bollicine.
martedì 13 maggio 2008
Lo devo ammetere.
Una delle poche volte che Sangiorgi ha centrato un concetto e lo ha espresso bene.
"Vai via senza di me
non puoi aspettare tanto tempo inutile
e così tu vai via
non vuoi aspettare neanche il tempo utile
perchè da me, lo so, si va soltanto
via, via le mani dagli occhi
che senso ha se poi ti tocchi i pensieri
lontani, lontani
e vai via, via le mani dagli occhi
che senso ha se poi mi blocchi le mani
e rimandi a domani, domani, domani..."
"Vai via senza di me
non puoi aspettare tanto tempo inutile
e così tu vai via
non vuoi aspettare neanche il tempo utile
perchè da me, lo so, si va soltanto
via, via le mani dagli occhi
che senso ha se poi ti tocchi i pensieri
lontani, lontani
e vai via, via le mani dagli occhi
che senso ha se poi mi blocchi le mani
e rimandi a domani, domani, domani..."
mercoledì 7 maggio 2008
Statue.
Le lacrime sono come delle enormi statue.
Non possono passare inosservate, e non possono scomparire senza lasciare un solco tremendo.
Io non credevo che amare fosse così difficile. O meglio, non credevo che anche l’amore più puro potesse davvero nascondere un dolore. Sapevo, insomma, che non era cosa facile trovare “la persona giusta”, ma pensavo anche che, una volta trovata, tutto fosse immediato, e che non ci fosse più bisogno di lottare poi tanto, che infondo “la persona” l’avevi trovata, e che altro non ti sarebbe successo. Ma vivere un’immunità d’amore credo sia come chiedere la grazia divina al padre eterno (se magari esiste).
A 18 anni ho vissuto la mia prima scottatura sentimentale. Mi sembra ieri, e mi sembra sia passato un secolo. A quel tempo ero giustificata, non conoscevo bene né me stessa né quello che volesse dire davvero amare una persona. Erano giustificate le mie reazioni, le mie piazzate, le mie minacce, i miei tormenti…tutto aveva un sapore di crescita, quella che ti porta ad avere coscienza del tuo essere, di ciò che vuoi veramente dall’amore. Poi ho avuto storie, più o meno durature, storie importanti, molto diverse tra loro, ma storie in cui non mi ritrovavo completamente, e in cui ad un certo punto finivo sempre per lasciare e cambiare porto, alla ricerca disperata del vero amore. E ho pensato più di una volta di averlo incontrato, l’ ho confuso, scambiato…mi illudevo.
Un giorno, per caso, stavo per non vederlo, l’amore.
Era lì, davanti a me, e mi stava sfuggendo, e se non facevo in fretta mi sarebbe scivolato tra le dita per sempre. L’occasione l’ ho presa, poi. Ed io credo che l’amore sia proprio lì, dove adesso risiede il più grande dolore che si possa provare in vita, il dolore che non ha nome, non ha pace, non ha risposte, non ha ragione.
Uno costruisce un pensiero, un’identità. Ci lavora sopra per anni, arriva ad un punto preciso, una netta volontà di essere, nel senso profondo del termine.
Uno si dice anche che una volta capito cosa vuole veramente, non gli sarà difficile mantenere costante una rotta, seppur con qualche scossone, ma pur sempre una rotta.
A 25 anni pensavo di meritare la serenità, o quantomeno credevo che essere fedeli, comprensivi, fantasiosi e aperti potesse garantirmi quella rotta tanto desiderata.
Si vede che devo aver fatto tanto male a qualcuno.
La ruota gira. Non sono mai stata complice di attentati di stato, ma forse aver ucciso troppe zanzare ad agosto deve aver giocato a mio sfavore.
Le mani giunte in preghiera non sono un buon segno. Ho assunto una posizione del tutto anomala alla natura dei miei pensieri, e tutto questo mi preoccupa. Allora slego in fretta le mani e le posiziono sulla tastiera del pc, pronta a scrivere, che non mi venga il dubbio benché minimo di dire un padre nostro, o di invocare qualche santo lassù. Hanno già il loro bel da fare.
Un foglio non mi tradisce mai, la scrittura è un’amante fedele. Non ti chiede niente, sa che ci sei e sa che prima o poi torni da lei, a trovare rifugio.
Ci sono periodi piuttosto lunghi in cui non scrivo nulla, nemmeno una frase veloce. Non sempre mi ritrovo a scrivere a causa di un dolore. Piuttosto credo di essere mossa da una forza che va aldilà della volontà di sfogare un sentimento. Penso sia maturità, perché quando ero piccola scrivevo solo quando ero triste. La cosa mi preoccupava, e mi chiedevo sempre come certi scrittori o parolieri facessero a descrivere un sentimento positivo. Ho aspettato per anni di vivere anch’io quel tipo di impulso.
Che gioia provai la prima volta che scrissi di un sorriso…
Scrivere mi fa sentire potente. E’ come dominare una vallata dalla cima di una montagna, ma non ha niente a che fare con la presunzione.
Scrivere non mi fa sentire sola, e quando mi sento sola scrivo, scrivo di tutto, scrivo di me, scrivo del mondo, scrivo e basta. Scrivendo trovo la forza di ingoiare anche il più amaro dei bocconi. L’unica fregatura è che, una volta finito di scrivere, il boccone rimane nel gozzo, e a mandarlo giù ci pensa solo la notte (sempre che arrivi, e sempre che ti addormenti), senza contare il fatto che mi sono persa nel giardino delle statue più bianche che abbia mai visto, e più pesanti che abbia mai dovuto portare.
Non possono passare inosservate, e non possono scomparire senza lasciare un solco tremendo.
Io non credevo che amare fosse così difficile. O meglio, non credevo che anche l’amore più puro potesse davvero nascondere un dolore. Sapevo, insomma, che non era cosa facile trovare “la persona giusta”, ma pensavo anche che, una volta trovata, tutto fosse immediato, e che non ci fosse più bisogno di lottare poi tanto, che infondo “la persona” l’avevi trovata, e che altro non ti sarebbe successo. Ma vivere un’immunità d’amore credo sia come chiedere la grazia divina al padre eterno (se magari esiste).
A 18 anni ho vissuto la mia prima scottatura sentimentale. Mi sembra ieri, e mi sembra sia passato un secolo. A quel tempo ero giustificata, non conoscevo bene né me stessa né quello che volesse dire davvero amare una persona. Erano giustificate le mie reazioni, le mie piazzate, le mie minacce, i miei tormenti…tutto aveva un sapore di crescita, quella che ti porta ad avere coscienza del tuo essere, di ciò che vuoi veramente dall’amore. Poi ho avuto storie, più o meno durature, storie importanti, molto diverse tra loro, ma storie in cui non mi ritrovavo completamente, e in cui ad un certo punto finivo sempre per lasciare e cambiare porto, alla ricerca disperata del vero amore. E ho pensato più di una volta di averlo incontrato, l’ ho confuso, scambiato…mi illudevo.
Un giorno, per caso, stavo per non vederlo, l’amore.
Era lì, davanti a me, e mi stava sfuggendo, e se non facevo in fretta mi sarebbe scivolato tra le dita per sempre. L’occasione l’ ho presa, poi. Ed io credo che l’amore sia proprio lì, dove adesso risiede il più grande dolore che si possa provare in vita, il dolore che non ha nome, non ha pace, non ha risposte, non ha ragione.
Uno costruisce un pensiero, un’identità. Ci lavora sopra per anni, arriva ad un punto preciso, una netta volontà di essere, nel senso profondo del termine.
Uno si dice anche che una volta capito cosa vuole veramente, non gli sarà difficile mantenere costante una rotta, seppur con qualche scossone, ma pur sempre una rotta.
A 25 anni pensavo di meritare la serenità, o quantomeno credevo che essere fedeli, comprensivi, fantasiosi e aperti potesse garantirmi quella rotta tanto desiderata.
Si vede che devo aver fatto tanto male a qualcuno.
La ruota gira. Non sono mai stata complice di attentati di stato, ma forse aver ucciso troppe zanzare ad agosto deve aver giocato a mio sfavore.
Le mani giunte in preghiera non sono un buon segno. Ho assunto una posizione del tutto anomala alla natura dei miei pensieri, e tutto questo mi preoccupa. Allora slego in fretta le mani e le posiziono sulla tastiera del pc, pronta a scrivere, che non mi venga il dubbio benché minimo di dire un padre nostro, o di invocare qualche santo lassù. Hanno già il loro bel da fare.
Un foglio non mi tradisce mai, la scrittura è un’amante fedele. Non ti chiede niente, sa che ci sei e sa che prima o poi torni da lei, a trovare rifugio.
Ci sono periodi piuttosto lunghi in cui non scrivo nulla, nemmeno una frase veloce. Non sempre mi ritrovo a scrivere a causa di un dolore. Piuttosto credo di essere mossa da una forza che va aldilà della volontà di sfogare un sentimento. Penso sia maturità, perché quando ero piccola scrivevo solo quando ero triste. La cosa mi preoccupava, e mi chiedevo sempre come certi scrittori o parolieri facessero a descrivere un sentimento positivo. Ho aspettato per anni di vivere anch’io quel tipo di impulso.
Che gioia provai la prima volta che scrissi di un sorriso…
Scrivere mi fa sentire potente. E’ come dominare una vallata dalla cima di una montagna, ma non ha niente a che fare con la presunzione.
Scrivere non mi fa sentire sola, e quando mi sento sola scrivo, scrivo di tutto, scrivo di me, scrivo del mondo, scrivo e basta. Scrivendo trovo la forza di ingoiare anche il più amaro dei bocconi. L’unica fregatura è che, una volta finito di scrivere, il boccone rimane nel gozzo, e a mandarlo giù ci pensa solo la notte (sempre che arrivi, e sempre che ti addormenti), senza contare il fatto che mi sono persa nel giardino delle statue più bianche che abbia mai visto, e più pesanti che abbia mai dovuto portare.
giovedì 1 maggio 2008
Sono viva.
Fuori è una giornata splendida. Il vento ha diradato tutte le nuvole, il cielo è limpido e azzurro, non ci sono ombre né sfumature. Tutto è luminoso, colorato, disteso.
Dalla mia finestra osservo la vita. Viene voglia di partecipare…ma oggi no.
Oggi ho un ruolo da spettatrice, e non mi va stretto né mi pesa. E’ come avere un enorme quadro a portata di mano, come disporre di un capolavoro all’improvviso, poterlo guardare, ammirare e interpretare.
Le voci nel corridoio mi distraggono, ma è inevitabile perché è una casa viva, attiva e non è possibile sottrarsi al suono delle parole, delle bocche che esprimono pensieri, dei pensieri che cadono sul pavimento…pesanti…volontariamente distratte…mascherate di allegria, euforia isterica, serenità rabbiosa.
Mi stacco dalla realtà e affondo il mio naso nella tela naturale, aldilà della tenda trasparente, aldilà del vetro. Ho appena finito di vedere il primo atto di un film lunghissimo, si chiama Novecento e un primo pensiero dice che ho aspettato troppo tempo per vederlo, mentre un secondo pensiero più lucido mi suggerisce che era questo, e non un altro, il momento giusto, come tutte le cose di questo mondo che, per fatalità o per destino, capitano nell’esatto istante in cui devono capitare.
Capita quel che capita…anche adesso che le fronde dei pochi alberi nel giardino qui di fronte si lasciano accarezzare dolcemente dal poco vento di settembre che accompagna l’ora del tramonto.
Non sento il bisogno di uscire, e se uscissi vorrei fare solo una cosa: una lunga corsa in bicicletta, giù giù fino al centro storico. E poi una sosta, breve, a mangiare e a bere qualcosa, ammirando il panorama lassù sulle colline intorno alla città, lassù dove tutto può succedere e tutto può bloccarsi…e poi ancora giù, giù di nuovo verso casa, con l’aria in faccia, il fiato corto, il nodo in gola, ritrovandomi a sorridere per ogni piccola cosa, anche di una signora che si trova indecisa nell’attraversare la strada, o di un cane che lascia la sua impronta ai piedi di un palo, o di un bambino che, spalancando gli occhi dal sedile posteriore della macchina, mi guarda e mi fa una linguaccia.
Sorridere. Di tutto, con semplicità.
E’ così lontana la purezza della vita? L’abbiamo davvero sfiorata solo da bambini? E se è così, allora dove l’abbiamo lasciata? Dove ci aspetta, se ci aspetta?
La mia bacheca straborda.
Ci sono giorni in cui non la sopporto. Altri in cui la considero una salvezza.
Mi piace scrivere, mi è sempre piaciuto. Ma non ho mai amato la mia scrittura, ho sempre trovato più precisa la scrittura degli altri, più affascinante…e con ogni mezzo ho tentato di imitare decine di scritture diverse, da quelle dei compagni di banco a quelle dei medici, fino a quelle occasionali dei commercianti, dei maestri, degli amici, e pure quelle di mia mamma e di mio papà.
Niente da fare…ho preso coscienza del fatto che rimarrò eternamente insoddisfatta della mia, e che più tento di farmela piacere, più lei mi disturba, come a farmi un dispetto. Eppure ci vivo…forse sono solo un’eterna insoddisfatta…forse solo una che cerca il pelo nell’uovo.
Sta di fatto che la bacheca è sempre davanti ai miei occhi, a ricordarmi che sono viva, a ricordarmi che mi devo ricordare di qualcosa…l’obbligo è il sostentamento, e il sostentamento è il futuro, e la costruzione del futuro deriva dalla diligenza…e aiuto. aiuto. aiuto.
Mi ricordo di quando ero piccola, e scherzavo sul fatto che un giorno sarei diventata un’eremita, solitaria lassù nelle montagne, a leggere, scrivere e contemplare le meraviglie della natura. Se mi guardo adesso, capisco che i pensieri che si fanno da bambini o sono visceralmente veri (e una parte di essi rimane viscerale,in verità) o sono semplici bugie dette per attirare l’attenzione e niente di più. Ma sono bugie sane, quelle ci fanno arrossare le guance…così, proprio così, come adesso…
E poi di colpo una morsa di rabbia mi stringe il petto, proprio lì, nel mezzo del baricentro, mi stritola con forza, con violenza, mi prende all’improvviso mentre guido, o mentre leggo…Viene. E sconvolge il mio stato di rilassatezza superficiale…e taglia in due i miei pensieri, gettandomi nell’abisso dei perché.
Mi ci perdo…è qualcosa che non posso spiegare, ma mi ci perdo e non sono del tutto sicura di essere mai uscita davvero da questo labirinto. Mi ci perdo, ed è forse la mia occasione per dimostrare a me stessa che sono viva, che respiro, che sto creando qualcosa che resterà nel tempo, seppure piccola che sia questa “cosa”…ma è così grande dentro di me che niente può distogliermi dal mio desiderio, nemmeno un pensiero, nemmeno uno. Tutto mi disturba, niente mi finisce.
Vedo cosa può fare un film, gli effetti devastanti che può provocare.
Ho passeggiato piano verso la macchina, mezzanotte e tre quarti.
Ho preso tempo, che di tempo ne ho e non vorrei andare a dormire.
Dormire…chi se lo è inventato…? Qualcuno che adorava mettere alla prova la nostra capacità di rilassarci? Chi? "Dormi bene?" "Oh, sì, benissimo, grazie!" "Oh no, per niente, non me ne parlare..."
L’uomo chiede all’uomo…per conferma, per conforto, per confronto, per competizione.
Maledetta competizione.
Io non voglio competere con nessuno, nemmeno con me stessa.
Io voglio vivere e basta.
Dalla mia finestra osservo la vita. Viene voglia di partecipare…ma oggi no.
Oggi ho un ruolo da spettatrice, e non mi va stretto né mi pesa. E’ come avere un enorme quadro a portata di mano, come disporre di un capolavoro all’improvviso, poterlo guardare, ammirare e interpretare.
Le voci nel corridoio mi distraggono, ma è inevitabile perché è una casa viva, attiva e non è possibile sottrarsi al suono delle parole, delle bocche che esprimono pensieri, dei pensieri che cadono sul pavimento…pesanti…volontariamente distratte…mascherate di allegria, euforia isterica, serenità rabbiosa.
Mi stacco dalla realtà e affondo il mio naso nella tela naturale, aldilà della tenda trasparente, aldilà del vetro. Ho appena finito di vedere il primo atto di un film lunghissimo, si chiama Novecento e un primo pensiero dice che ho aspettato troppo tempo per vederlo, mentre un secondo pensiero più lucido mi suggerisce che era questo, e non un altro, il momento giusto, come tutte le cose di questo mondo che, per fatalità o per destino, capitano nell’esatto istante in cui devono capitare.
Capita quel che capita…anche adesso che le fronde dei pochi alberi nel giardino qui di fronte si lasciano accarezzare dolcemente dal poco vento di settembre che accompagna l’ora del tramonto.
Non sento il bisogno di uscire, e se uscissi vorrei fare solo una cosa: una lunga corsa in bicicletta, giù giù fino al centro storico. E poi una sosta, breve, a mangiare e a bere qualcosa, ammirando il panorama lassù sulle colline intorno alla città, lassù dove tutto può succedere e tutto può bloccarsi…e poi ancora giù, giù di nuovo verso casa, con l’aria in faccia, il fiato corto, il nodo in gola, ritrovandomi a sorridere per ogni piccola cosa, anche di una signora che si trova indecisa nell’attraversare la strada, o di un cane che lascia la sua impronta ai piedi di un palo, o di un bambino che, spalancando gli occhi dal sedile posteriore della macchina, mi guarda e mi fa una linguaccia.
Sorridere. Di tutto, con semplicità.
E’ così lontana la purezza della vita? L’abbiamo davvero sfiorata solo da bambini? E se è così, allora dove l’abbiamo lasciata? Dove ci aspetta, se ci aspetta?
La mia bacheca straborda.
Ci sono giorni in cui non la sopporto. Altri in cui la considero una salvezza.
Mi piace scrivere, mi è sempre piaciuto. Ma non ho mai amato la mia scrittura, ho sempre trovato più precisa la scrittura degli altri, più affascinante…e con ogni mezzo ho tentato di imitare decine di scritture diverse, da quelle dei compagni di banco a quelle dei medici, fino a quelle occasionali dei commercianti, dei maestri, degli amici, e pure quelle di mia mamma e di mio papà.
Niente da fare…ho preso coscienza del fatto che rimarrò eternamente insoddisfatta della mia, e che più tento di farmela piacere, più lei mi disturba, come a farmi un dispetto. Eppure ci vivo…forse sono solo un’eterna insoddisfatta…forse solo una che cerca il pelo nell’uovo.
Sta di fatto che la bacheca è sempre davanti ai miei occhi, a ricordarmi che sono viva, a ricordarmi che mi devo ricordare di qualcosa…l’obbligo è il sostentamento, e il sostentamento è il futuro, e la costruzione del futuro deriva dalla diligenza…e aiuto. aiuto. aiuto.
Mi ricordo di quando ero piccola, e scherzavo sul fatto che un giorno sarei diventata un’eremita, solitaria lassù nelle montagne, a leggere, scrivere e contemplare le meraviglie della natura. Se mi guardo adesso, capisco che i pensieri che si fanno da bambini o sono visceralmente veri (e una parte di essi rimane viscerale,in verità) o sono semplici bugie dette per attirare l’attenzione e niente di più. Ma sono bugie sane, quelle ci fanno arrossare le guance…così, proprio così, come adesso…
E poi di colpo una morsa di rabbia mi stringe il petto, proprio lì, nel mezzo del baricentro, mi stritola con forza, con violenza, mi prende all’improvviso mentre guido, o mentre leggo…Viene. E sconvolge il mio stato di rilassatezza superficiale…e taglia in due i miei pensieri, gettandomi nell’abisso dei perché.
Mi ci perdo…è qualcosa che non posso spiegare, ma mi ci perdo e non sono del tutto sicura di essere mai uscita davvero da questo labirinto. Mi ci perdo, ed è forse la mia occasione per dimostrare a me stessa che sono viva, che respiro, che sto creando qualcosa che resterà nel tempo, seppure piccola che sia questa “cosa”…ma è così grande dentro di me che niente può distogliermi dal mio desiderio, nemmeno un pensiero, nemmeno uno. Tutto mi disturba, niente mi finisce.
Vedo cosa può fare un film, gli effetti devastanti che può provocare.
Ho passeggiato piano verso la macchina, mezzanotte e tre quarti.
Ho preso tempo, che di tempo ne ho e non vorrei andare a dormire.
Dormire…chi se lo è inventato…? Qualcuno che adorava mettere alla prova la nostra capacità di rilassarci? Chi? "Dormi bene?" "Oh, sì, benissimo, grazie!" "Oh no, per niente, non me ne parlare..."
L’uomo chiede all’uomo…per conferma, per conforto, per confronto, per competizione.
Maledetta competizione.
Io non voglio competere con nessuno, nemmeno con me stessa.
Io voglio vivere e basta.
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