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sabato 19 dicembre 2009

Mi provochi? E io ti mangio.

Non voglio che qualcuno sporchi questo blog, specialmente se lo fa per se stesso, e non per amore della scrittura.
Qui scrivo, qui esprimo una parte artistica di me, qui sono graditi commenti che vengano dal cuore, qui sono ammesse le critiche ma non gli attacchi alla mia persona.
Ho il potere di non far visualizzare i commenti, e lo uso.
A qualcuno non piacerà, questa azione.
Sono sicura che chi ha qualcosa da dirmi, e da darmi, lo farà ogni volta che mi verrà a sentire dal vivo.
Chi ha qualcosa da criticarmi sono certa che lo farà chiamandomi al telefono.
Sempre che ne abbia il coraggio.



giovedì 17 dicembre 2009

La panchina.

Quasi 27. Quelli che compio, quest’anno, sono i miei preferiti, da sempre.
Un rapido sguardo indietro basterà a darmi la misura di quanto ho vissuto, questa fine dell’anno so che porterà con se una novità.
E basterebbe già l’idea di avere quel fatidico numero tra le mani, poterlo vivere finalmente e farci i conti giorno dopo giorno. La curiosità è tanta, le aspettative si travestono da speranza, per una volta. Lascio in pace quella parte di me che disegna quadri infiniti, e vivo sognando in modo semplice, tutto quello che un’età così matura può portare con se.
E chissà se io sarò matura abbastanza, o almeno pronta a vedere quello che ha in serbo per me questa crescita. E’ un passo avanti, un piede ben piantato a terra, un sasso appoggiato su una superficie piana, un tratto definitivo nel tracciato impreciso del mondo.
Un libro mi dice che è tutto scritto, un altro che tutto è ancora da comporre.
Quante pagine ho consumato, fin qui? Ho perso il conto, ed è giusto così.
Non serve a niente rileggere, quello che verrà mi parlerà benissimo di me.
Ma io saprò ascoltare? E’ sempre questa, la domanda più difficile da sentire.
Dentro di me è un concerto, un infinito concerto in cui più di un’orchestra suona la sua musica, le partiture non si incrociano mai, e ogni volta devo fare quel complicatissimo gioco di distinguere autore, compositore, direttore, strumenti…
Ma io ho me, ho sempre quella parte di me così pura e solida, che non sente niente di tutto questo, che va veloce sulla curva a gomito del tempo, che strizza l’occhio al pericolo, che dice sempre sì alle emozioni, che non sa dire bugie e che mente a se stessa alcune volte, e che per abitudine si siede sempre su una panchina di ferro, quella con su disegnata una forma assurda della schiena, scomodissima e fredda.
Accogliente solo quando accanto a te si siede una sorpresa.






domenica 6 dicembre 2009



giovedì 3 dicembre 2009

Non ci manca niente.

E mi ritrovo spossata, riversa su un fianco dei miei desideri, spogliata di tutti i respiri e schiacciata dal poco ossigeno rimasto nella stanza.
Il pantano mi copre al polpaccio. E’ strano, non me ne ero accorta prima.
Sono nel classico stato in cui non vuoi essere né attore né spettatore.
Che cosa mi rimane, del tempo che ho dentro di me?
Consumo le suole ai miei giorni, sorrido distratta e gioco a nascondino, ma solo di rado.
Perché quando te ne vai è gioia perduta, e quando non ci sei ti avverto ugualmente.
E’ tutto il resto che manca, in realtà.
Perché avremmo già tutto, perché non ci manca niente.
Se non il coraggio.






martedì 1 dicembre 2009

Un porto sicuro.

I tuoi baci sono un porto sicuro.

Non abbiamo vissuto una storia. La nostra storia è stato il tempo vissuto insieme, e il legame si è fatto resistente alle tempeste, ai turbamenti della vita, e ha superato anche le prove più difficili, quelle che anche una coppia troverebbe insormontabili.
Noi abbiamo camminato senza sosta, ma non senza dolore.
Ci siamo inventati un presente alternativo, e lo abbiamo reso ricco di sorprese, attraccando i nostri fianchi al porto dei sensi acuti, ironizzando sui nostri caratteri complicati, sui difetti che ci somigliano, danzando felici e ubriachi sul piano sconfinato dei perché…e di tanto in tanto abbracciandoci, come fanno certi orsi polari, che non sentono freddo, e sanno capire i bisogni dell’essere vivente che sta al loro fianco.
E’ passata tanta acqua, sotto le nostre scarpe da ginnastica rotte. E quanta ne vedremo passare ancora, io non lo so dire. Potrei avere certezze, ma preferisco vivere.


martedì 24 novembre 2009

E allora scrivo.

A volte perdo per strada il piacere di scrivere.
Conosco bene la sensazione che provo ogni volta che riverso i miei pensieri in un foglio bianco.
Ma è come se più spesso girassi al largo da quell’emozione, quel senso liberatorio di braccia in aria e salti nel vento, che solo il cuore di un artista vive, nell’esatto momento in cui posa la penna e sente di aver vomitato proprio tutto quello che aveva nel gozzo.
Non interessa se qualcuno leggerà. A chi scrive basta dare sfogo al proprio istinto, e tutto intorno prende già la forma che preferisce, quella morbida e consolatoria del distacco dal mondo, e che rimette tutto in ordine dentro se stesso.
E allora scrivo, e non mi importa più di niente e di nessuno, mi concentro solo sul movimento rotatorio della biro sulla carta, e calco più forte il solco, faccio acrobazie di parole e mi getto dentro al mio mare, mi specchio nei miei dubbi per risalire forte, attraverso a piedi nudi i vicoli oscuri delle mie incertezze e scrivo talmente tanto da non sentire più i pensieri.

E scrivo talmente tanto che, alla fine della corsa, non sento più niente, tranne il suono dolce del mio cuore.





mercoledì 18 novembre 2009

Solo che allora fumare per noi era proibito.

Non si capisce perché così tanta differenza, eppure c’è. Non si capisce perché in una via del centro si paghino 3 euro per una tazzina di the neanche tanto buono, e a 500metri di distanza, in una via leggermente meno trafficata, la stessa cosa (se non cento volte meglio) costi la metà.
Non si capisce perché tutto giri al rovescio, e se ne parla a cena, con gli amici, con i parenti, con le persone che si incontrano anche solo per qualche minuto.
E’ sempre, o quasi, un argomento di conversazione: il costo della vita,
la difficoltà di capire il perché di certi divari assurdi, la diffidenza nei confronti di un futuro possibile, le differenze tra persone così simili e così distanti. Non si capisce più niente, e vivere in questo momento storico mi mette addosso un enorme senso di impotenza, una sensazione che 15 anni fa pensavo che non avrei mai provato.

15 anni fa ero alle scuole medie, l’altra sera mi sono rituffata in quel periodo come un pesce d’acqua dolce. Cena, quella con i compagni di quell’epoca, in un ristorante di una via centralissima. Una sera qualsiasi di dicembre si è trasformata in una serata indimenticabile, fatta di piccole e grandi sorprese, sussulti e ricordi che ancora sono vivi sulla mia pelle, cose che pensavo di aver dimenticato e che invece respirano ancora con me, solo che non le vedevo più tanto nitide perché non c’era più nessuno a rinnovarmene il sapore.
Lo ammetto, ci sono andata con la giusta dose di diffidenza, la mia, quella solita che mi contraddistingue. La mia freddezza iniziale ha lasciato quasi subito il posto al piacere di ri-conoscere persone frequentate tanto tempo fa, quando ancora non capivo con la testa ma soltanto con i sensi, quando tutto poteva ancora essere e si sognava la vita ad ogni angolo, in ogni forma.
Eravamo in 12, ne mancavano 10 e sinceramente la cosa mi ha rattristato un po’, ho provato pena per quelle 10 persone che non hanno saputo vincere la mia stessa diffidenza, che non hanno provato a pensare che quella sera si sarebbero potuti trovare di fronte qualcuno di diverso da 15 anni fa, e che il tempo passa per tutti, e che non necessariamente le stesse persone che ti prendevano in giro a quel tempo oggi lo avrebbero fatto ancora.
Ma tant’è…non sono venuti e non sanno cosa si sono persi.
A 12 anni non ero certo una compagnona. Stavo sempre nel mio guscio, non socializzavo quasi mai, mi sono persa un sacco di cose belle per colpa del mio carattere chiuso e paranoico, perciò in realtà a quel tempo avevo stretto amicizia solo con la mia compagna di banco Valentina. Il resto della classe, per me, erano solo tanti piccoli cervelloni da evitare, secchioni figli di papà che non avrebbero mai avuto niente a cui spartire con me. E sì, mi prendevano in giro per quello che facevo, perché lo facevo con strafottenza, con quella punta di altezzosità che io usavo come difesa, il mio scudo personale contro l’attacco ormonale di una massa di adolescenti puzzolenti e bravi a scuola.
Non so spiegare quando sia stato l’istante in cui è successo, forse è stato entrando nel ristorante che ho sentito l’odore buono del perdono. Stavo perdonando me, in quel momento, quella “me” che non stimo e che non amo. E quel “loro” che adesso comprendo.
Non volevo più andare via, la serata si era fatta densa di novità, scoprire le loro vite di adesso mi faceva sorridere, mi rendeva curiosa minuto dopo minuto, ma comunque la serata prima o poi doveva avere un termine. Siamo rimasti in cinque, ricordo. Io, Valentina e altri tre ragazzi, uno che ora vive in Danimarca, uno che ha un’azienda tutta sua, un altro che laureatosi da poco sta studiando ancora per diventare avvocato.

La mente gelida e il cuore caldo, le vie del centro desolate e parlanti, i piedi congelati e i salti dell’anima. Tutto questo si è chiuso con il rumore sordo della portiera della mia macchina, ad Arbizzano, con il sapore di sigaretta addosso (l’ultima che Valentina si è fumata prima di salutarmi)…lo stesso sapore che aleggiava nei bagni della scuola media Dante Alighieri.
Solo che allora fumare per noi era proibito.

domenica 15 novembre 2009

Inconfondibile.

Riconoscerei a distanza la tua semplicità
Come musica lieve
E ascolterei le tue parole
E mi lascerei sorprendere
Così, così…dolcemente

Io dipingerei con i raggi del sole
Di domenica, la tua luce gentile
E dormirei distesa nel tuo mare candido
Che luccica negli occhi tuoi

Io ti regalerò sempre un sorriso in più
Perché il mio bene più grande è la tua allegria
E parlerò di cose che non sentirai
Perché l’amore ha il linguaggio dell’anima
E ti ringrazierò per questa libertà
Che anche a spiegarlo capire è impossibile
Soltanto chi sa guardare al di là del suo limite
Volare potrà

Conoscevi già ogni mia piccola cosa
E senza chiedere hai saputo vedere
Dove non è riuscito mai nessuno a scorgere

E te lo dirò
Ti abiterò
Io ti capirò
E non smetterò
Di vivere in te
Di conoscere
Di sentire che sei per me
Inconfondibile.


giovedì 12 novembre 2009

sabato 7 novembre 2009

Chiaro.

Se tutto ciò in cui io mi riconosco
Riflette sempre ciò che sono
Il quadro appeso cade dal suo chiodo
E non c'è colla che lo possa riparare
Tempo al Tempo
La chiave nella serratura
Aspetto coraggio mi stendo
Mi slancio
Afferro il mio infinito, tremo

E' tutto più chiaro, al ritorno da un viaggio.

Casa è ovunque.

Cosa ci faccio qui?

Una stanza sconosciuta, pareti e spazi che non avevo mai visto, in casa un odore che non gradisco, e gente che non intuisco ma che apprezzo.
Seduta sul letto dell'amica che mi ospita, mi sento come disegnata a matita dentro ad un livello temporale astratto ed indefinibile.
Rimango, e immergo i piedi fino alle caviglie nel momento, per farmi andare bene ogni imprevisto, ogni singhiozzo che può presentarsi davanti a me, per non temere la novità, l'involucro estraneo in cui mi trovo.
Può diventare famigliare ogni cosa, se vissuta volontariamente come tale.
Ho sonno ma non dormo, però. Ma solo perchè in questa stanza le finestre non si chiudono bene, e il freddo entra infingardo fino alle ossa, come a ricordarmi che casa è ovunque.



E' solo tornando che trovi la strada.

sabato 31 ottobre 2009

giovedì 29 ottobre 2009

All'improvviso.

Settembre è sempre stato il mio mese preferito.
Ricordo che ad agosto già mi fermavo alle vetrine di tutte le cartolerie per ammirare i nuovi modelli di diari che erano usciti. Ero la disperazione dei miei genitori, non c’era volta che si andava al supermercato che io non stessi almeno quindici minuti persa ad ammirare il reparto cancelleria. Le penne a casa mia non sono mai mancate, e nel mio modesto astuccio c’era soltanto l’imbarazzo della scelta, ma immancabilmente, quando capitava di andare a fare la spesa con i miei genitori, volevo una penna nuova, o una matita, o un rotolo di scotch, o un quaderno, o peggio ancora una gomma da cancellare. Quelle che avevo non mi bastavano mai, pensavo sempre che avrei trovato sicuramente una penna ancora più entusiasmante, mi divertivo a provarle tutte e posso dire di conoscere bene la scrittura di almeno tutte le pilot esistenti in Europa. D’estate certi riti si assopivano, di solito a giugno, quando finiva la scuola, avevo tre o quattro penne e per tutta la durata delle vacanze me le facevo bastare. Con il caldo mi prendeva una forte voglia di scrivere, ma il materiale non cambiava, mi accontentavo di quello che avevo comperato durante l’inverno e, ovviamente, avevo molta scelta. Ma era con settembre, con le prime giornate che si accorciano, con i tramonti virati sul rosa-viola, con le prime zuppe di fagioli o di verdura, con i primi pantaloni lunghi e le prime felpe, con quel preciso profumo nell’aria…era da quel profumo nell’aria che partiva la mia pulsione verso il reparto cancelleria. E amavo l’attesa che precedeva quei giorni, conoscevo il sapore delle cose che amavo e le attendevo con ansia, più del natale, più di qualsiasi festa, più di qualsiasi regalo. Niente era paragonabile a quel piacere.
Non ricordo quando fu, ma ci fu una prima volta in cui ascoltai Antonello Venditti, e sono quasi sicura che fu a casa di mio zio, nel suo studio, quel mitico studio super ordinato e profumato di macchina da scrivere, di cuoio e di sigarette.
E dove, ovviamente, erano custodite le mie penne preferite, a cui mi era proibito avvicinarmi. Forse per gioco, o forse no, ma nel ricordo vago di quel primo approccio posso ancora sentire la sensazione che provavo. Sentivo di essere di fronte a qualcosa di geniale, mi dicevo che le mie orecchie stavano ascoltando qualcosa che non avevano mai sentito prima, prevedevo, sentivo e sapevo inconsciamente che quelle note sarebbero rimaste incastrate nel mio dna e che da quel momento in poi non mi avrebbero mai abbandonata. Così mio zio, vedendomi tanto interessata e colpita da quelle canzoni, si prese l’impegno di registrarmi sei audio cassette, che contenevano un misto di canzoni di Antonello.
E’ stato un lampo, a volte basta un cenno debole a farti balzare il cuore in avanti e a farti sentire piccolissima. Guido la mia macchina, a volte mentre sono ferma ai semafori spio fuori dal finestrino e mi vedo riflessa nella vetrata di qualche negozio. Dio, come sono piccola…oppure è la macchina ad essere enorme…o entrambe le cose…ad ogni modo mi sento persa in questo bolide motorizzato.

E’ sempre all’improvviso che accadono le cose più sconvolgenti.

Al rosso di un semaforo stavolta non ho vetrine accanto a me in cui rimirarmi. Stavolta a distrarmi è la canzone che sto sentendo. E’ strano, è certo questa una canzone che mi ha sempre emozionata ma…stasera è diverso.
Bloccata, guido perché devo. Il destino vuole che le prime note del brano siano il sottofondo di me che passo proprio all’interno del mio quartiere natale, e di metro in metro l’emozione si impadronisce di me.
“…e migliaia di gambe e di occhiali di corsa sulle scale, le otto e mezza tutti in piedi, il presidente, la croce, il professore…”

E’ così.

Di singhiozzo in singhiozzo, guidando verso un tramonto fluorescente che scompare piano dietro i tetti del mio quartiere, ascoltando parole che avrò cantato cento volte nella mia stanza, e di lacrima in lacrima mi accorgo che il tempo passa più velocemente di quanto creda, e che sono passati quindici anni dal tempo in cui mi chiudevo in camera, davanti alla scrivania…Succedeva così, accendevo lo stereo e facevo i compiti ascoltando Antonello, fantasticando su un mondo che immaginavo solamente, restando sempre chiusa nel mio guscio di fogli e penne nuove, annusando tutto, descrivendo tutto.
Quindici anni…e accorgermi di essere più grande, guardarmi nello specchietto dell’auto e vedere i miei anni, nelle piccole pieghe che il viso manifesta e non può nascondere.
Sognavo tanto, quindici anni fa. Non facevo altro. Posso dire, oggi, di aver realizzato qualcosa di ciò che sognavo? Posso guardarmi riflessa nei vetri oscurati del mio macchinone ed essere orgogliosa di me? Perché piango mentre ci penso? Perché non riesco a smettere?

La vita mi fa un effetto che non so spiegare. Ma se sapessi spiegarlo avrei finito di scrivere, quello sarebbe il punto più alto dell’analisi dell’esistenza intera e perciò deve rimanere un mistero. La vita mi concede dei privilegi che spero di meritare, ma che mi sconvolgono. Cosa sono tutti questi specchi sparsi in giro per la strada? Dove sono i fiori ingenui, le mie pilot blu, i quaderni nuovi, le mie nike nere, i capelli corti, la donna nascosta, gli amori mai pronunciati e mai vissuti?

Piango se penso a quanto è meschino il mondo.
Ci sono giorni in cui mi sembra inutile starci, inutile viverci, inutile investirci denaro, forze, tempo. Io sono una penna. Accorcio le distanze, guido e ormai le lacrime sono salate di gioia. La lucidità mi spaventa, ho sempre preferito sognare, non ho mai preso più di 5 in matematica. Non sono diversa da quindici anni fa. Ancora aspetto settembre, lo so.
Con qualche segno in più sul viso, e i capelli più lunghi.

giovedì 15 ottobre 2009

Datato.

Mi faceva solo peso quel giornale costatomi soltanto un euro e venti centesimi.
Avrei voluto lasciarlo in eredità a qualcuno che si sarebbe seduto dopo di me al mio posto, sul treno, ma infine me lo sono tenuto tutto il giorno nella borsa, come a ricordarmi quanto ogni volta mi lamenti del volume che mi porto sulla spalla destra, e di quanta incoerenza risieda inguaribilmente in me, nel semplice atto di non cambiare la situazione, dato che basterebbe non portarsi così tanta roba appresso.
Alleggerire il carico è una cosa che non so fare. Credo di essere, invece, bravissima nel crearmi l’ingombro, e quella sensazione di pesantezza fisica propria di chi trascina un carretto pieno di mattoni. Ecco, se sapessi farlo mi disegnerei così, su un foglio bianco. Una ragazza curva, con le scarpe tipo Cat, le calze arruffate di lana che cadono sul bordo in pelle delle scarpe, il maglione di lana extra large, i jeans di due taglie più grandi e una cariola di cimeli, preoccupazioni, paranoie, il tutto ammassato disordinatamente all’interno. Come il contenuto di un cassetto che non apri da mesi, e che inevitabilmente prende la forma di una pianta carnivora, che divora il tuo ordine in un sol boccone.
Ad ogni modo, a Milano ci sono arrivata. Pesante o no, il treno l’ ho preso, ho ciondolato per bene la testa dormendo nel viaggio di andata, vergognata a dovere degli scattini elettrici che il mio corpo produce ogni volta che schiaccio un pisolino sul sedile verde del regionale, preso la metro giusta con la solita faccia di bronzo che mi ritrovo, assaporato l’aria elettrica della metropoli del nord che tanto amo, raggiunto il punto d’incontro previsto per le ore 14.30. Ed ero come sempre in anticipo. Ma neanche di molto, per una volta ho aspettato solo 5 minuti, il che significa per me già sgambettare cercando un appoggio comodo dove piazzare il mio sedere, mentre volgo lo sguardo a destra e poi a sinistra e poi davanti, in cerca del mio taxi-amico, domandandomi come sempre se arriverà in macchina o a piedi o in bus…e che ne so io…mica me lo ha detto…e allora mi guardo continuamente intorno, cercando di capire se lo scorgo tra la folla.
Milano mi piace da morire, perché appena scendo dal treno provo sempre la stessa sensazione di essere un numero, un numero solamente. Ma non nel senso riduttivo del termine. Mi piace l’idea che nessuno si curi veramente di me, che io possa camminare e non essere guardata, che sia naturale leggere sull’autobus senza che il tuo vicino di gomito non pensi che te la tiri perché leggi mentre viaggi, che sia ovvio camminare e pensare ai cavoli miei senza preoccuparmi di come sono vestita, dell’espressione che ho sul viso, di come tengo le mani in tasca. Qualche volta vorrei trasferire questa sensazione a Verona. Chissà se poi sarebbe la stessa cosa… pensandoci bene no, non vorrei che fosse così. Infondo Verona mi piace nel suo bigottismo incalzante, nel suo ingombrante andamento infossato, nel suo odore stantio, nella sua luce provinciale e affascinante, con i suoi ponti intrisi di domande e il suo porfido pulito. Ma cosa faccio qui, oggi? E’ un giovedì qualsiasi e ho preso un treno al volo per vedere se posso mettere a segno la prima parte di un lavoro che richiederà molto tempo. Mentre aspetto il mio amico, so già che il viaggio di ritorno sarà molto diverso da quello di andata.

Che cosa significa la parola “datato”?
Significa sorpassato, oppure semplicemente anziano? E ciò che è anziano non è necessariamente da buttare, anzi! Piuttosto è maturo, talmente maturo da poterti trasmettere concetti e visioni che tu, sbarbato come sei, non riesci nemmeno ad immaginare.
Ebbene, il corridoio di questo posto è lunghissimo. Mi ricorda a tratti quello di Shining, ma non perché è macabro, quanto perché tutto è stato lasciato come quando è stato costruito, non è stato cambiato il pavimento, non sono state cambiate le porte, credo che non venga tinteggiato da anni e i muri, come anche le finestre e la mobilia conservano il colore del tempo che passa, e che è inconfondibile.
Non ero mai stata qui prima d’ora, ci entro solo oggi. Mi lascio, per ora, attraversare dagli eventi. E’ solo quando mi siedo a scrivere che rielaboro il tutto. A volte penso che se non scrivessi non capirei fino infondo quello che faccio. Trascrivere i fatti mi da sicurezza, mi permette di valutare le cose, guardandole come se fossero disposte a ventaglio sulla scrivania.
Se potessi vivrei in studio di registrazione. E questo studio odora di pelle, di anime elette, di messaggi indecifrabili perché magici ed unici.
Mi chiedo se merito di passeggiare sopra queste piastrelle antiche di marmo grigio.
Forse dovrei smetterla di farmi domande, e dovrei godermi il momento. Qualcosa è cambiato, io sono cambiata.

Poi non ti sei voltato, e tenendo le mani appoggiate al volante della tua macchina, hai detto “non è troppo tardi, per te, al contrario sei solo all’inizio…è che ti hanno fatto credere che non fosse il tuo momento, ogni volta che ti sei proposta. Ma la verità è che eri solo in anticipo rispetto ai loro programmi…e non esiste colpa che tu possa darti, puoi solo migliorarti sempre e lavorare duro”.

Questo luogo è visibilmente datato.
Datato per me oggi significa puro.
Aggiungo un sinonimo al mio personalissimo vocabolario, e chissenefrega se qualcuno non è d’accordo.


domenica 11 ottobre 2009

L'assassino.

Compio passi piccoli, tanto che la mia mente non possa tradirsi ancora una volta.
Ero abituata a credere che la dolcezza pagasse sempre. Ben presto ho dovuto accorgermi che non è vero.
Sono state più le volte, e le posso contare distintamente, in cui ho pagato anche per questo.
Ci vuole del talento a schiacciare volontariamente una farfalla con il tacco, ci vuole del coraggio a non provare vergogna nel rialzare la scarpa da terra e non sentirsi morire.
Avevo capito come girava, il mondo, ma non volevo dargliela vinta. Ho sempre preferito fare finta di niente, porgendo un sorriso al mio peggior nemico, perdonando anche il più grave sgarro, considerando umane anche le anime che disumanamente hanno camminato in me.
E adesso che vorrei soltanto stringere, slego le mie dita dal tuo corpo ostile, e torno indietro nel mio guscio, là da dove sono venuta, cercando le prove inutili della mia innocenza, per consacrare l’ennesima delusione sulla bacheca dei ricordi, sapendo che non sarò mai più la stessa, mai più limpida, mai più celeste.

“ Poso la mia lama
un secondo di respiro
e poi colpirò
sono un assassino
non ne posso fare a meno
io ti finirò”


D.S.


martedì 6 ottobre 2009

mercoledì 30 settembre 2009

Due amanti felici.

Due amanti felici fanno un solo pane,
una sola goccia di luna nell'erba,
lascian camminando due ombre che s'uniscono,
lasciano un solo sole vuoto in un letto.

Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s'unirono con fili, ma con un aroma,
e non spezzarono la pace nè le parole.
E' la felicità una torre trasparente.

L'aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.

Due amanti felici non han fine nè morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l'eternità della natura.



Pablo Neruda.

lunedì 14 settembre 2009

Nel mio tempo.

Ricarica eseguita. Adesso non mi resta che accumulare nuovamente un cospicuo numero di punti sul cellulare, per richiedere nuovamente tra qualche mese le stesse cose, allo stesso numero, nello stesso modo. Quanto è semplice sentirsi soli nel 2009, non ci vuole neanche un grande sforzo fisico. Si fa, accade per inerzia, per accettazione. Come quando stai in coda per ore. Accetti e basta di vivere in un determinato stadio di decomposizione della comunicazione, accetti di stare a stretto contatto con altri cappotti ingombranti almeno quanto il tuo senza dire una parola, così, fermo immobile immerso nei tuoi pensieri fluttuanti, conformato alla media del paese che ti vuole attentissimo alla disposizione su più file, dove immancabilmente qualcuno ti passa davanti, e scatta l’incazzatura delle 18.35, post ufficio.
E’ puntuale la sensazione di fastidio sotto i piedi, quando sei costretto in posizioni verticali dall’odore di cotone e disinfettante. Ad un certo punto perdi sensibilità nei talloni, vedi qualche madonna in più appesa ai muri e magicamente diventi credente. Chi l’avrebbe mai detto. Preghi con forza che l’attesa abbia presto una fine.
Ci siamo costruiti una serie di ostacoli, nel tempo, e ce ne siamo lamentati prima e durante. Il dopo è storia già scritta, archiviata, già vista. Prego, passi pure avanti, non c’è problema, tanto sono qui solo da due ore…cosa vuole che siano altri quindici minuti, confronto alla fame nel mondo, la mafia siciliana, il controspionaggio inglese, la guerra nel golfo, gli attentati alla vita.
Faccia pure, io non ho niente di interessante da fare, in questo momento.
Aspetto. E so solo io cosa.

"la sua richiesta è stata effettuata con successo"
Vorrei conoscerla, quella voce nei messaggi telefonici pre-registrati della Vodafone.
Potrebbe essere bionda, oppure assomigliare a Taylor di Beautiful. Oppure deludere le aspettative e puzzare come una capra, avere i capelli unti da giorni e avere un alito da stendere un lama. Sì, forse aveva ragione quell’amica, riguardo le aspettative.
Passi la vita cercando di indovinare cosa ti capiterà domani, e sbagli sempre il tiro. Non ci fosse una volta che il film che ti sei fatto combaci con la realtà. Meglio tenere il cervello fermo, e compiere passo dopo passo osservando quello che accade man mano, attraversando il tempo con la curiosità di un bambino, che sa già tutto e finge di non capire.

Perché dimentichiamo? Perché limitiamo, organizziamo, spostiamo la vita altrove, distante da noi? Perché non sogniamo più, dopo i vent’anni? Cosa ci succede, è la responsabilità? E’ l’affitto? E’ l’età? E’ la televisione? E’ il respiro…è la forza di gravità. E’ la gravità della forza. E’ il sospetto di non farcela. E’ il disastro del cuore.

Qualche volta guardo la luna fissa negli occhi.
Mi capita mentre guido, più volte rischio di sbandare per incrociare il suo sguardo, nel cielo. Possibile che, nella sua maestosa strafottenza, non possa scendere un attimo dal tacco dodici e darmi un bacio sulla fronte?
I fari della macchina, nell’altra corsia, mi abbagliano. Abbiamo creato tanto, anche una luce più chiara del chiaro, e siamo andati oltre, valicato limiti, scavalcato ostacoli dentro e fuori da noi. La luna secondo me non si è offesa, però. Me lo ha appena detto all’orecchio.
Allora curvo dolcemente a sinistra, l’ultima di una serie di tre, verso casa. Ancora due chilometri e il mio paesino mi saluterà, come ogni notte, abbracciandomi nel buio. E’ così piccolo il mondo…così grande il mio destino. Così tenero il nostro bagaglio di errori.

Il re del mondo.

Avevo scordato questa dolce parentesi di vita.
Inaspettatamente, lui si rivolge a me. E’ anziano ma non molto, è lievemente curvo, ma ancora florido per darsi da fare. E mi dice più o meno queste parole :<< Ma sei tu, Veronica…>> e io dico << sì, sono io…>> e lui…<>.
Il re del mondo.
Io me lo sono immaginato tante volte, questo re che mi cammina davanti, così luminoso e puro.
Penso anche di averlo sognato, di certo ho sperato di incrociare il suo sguardo tante volte. E’ di un bambino, che parlo, o è forse l’animo del bambino che sto cercando in giro, dentro agli occhi della gente?
E me lo vedo apparire. E’ solo travestito bene. Questa volta da volontario per la festa di paese.
Eppure l’ ho riconosciuto. Proprio quando stavo iniziando a dimenticarmi di aver fatto delle cose belle, in questa vita.

sabato 29 agosto 2009

Mi piace.



giovedì 27 agosto 2009

Scala di valori.





E' in cima alla lista, nel 2009.
Il successo.
E batte a pieni voti amicizia e serenità.

Ma non per me.

Buon Giorno.

Ed ecco qua.
Anche per oggi doccia fatta, mi sono alzata relativamente presto, fatto colazione con il solito caffè di moca nella mia tazza preferita e mangiato qualcosa di quello che c’era in casa.
Oggi in cucina entrava anche un filo d’aria insolito, fresco, quasi primaverile che mi ha gettato in una dimensione irreale, una stagione futura, e che ha appoggiato i miei pensieri a tra qualche mese, investendomi gli occhi di domande, come un oroscopo all’incontrario.
Ho compiuto gesti normali, alzato la tapparella della stanza fino quasi all’orlo, acceso il computer per controllare la posta come ogni mattina, scelto cosa indossare dopo la doccia, messo il cellulare in carica, rifatto meticolosamente il letto in tutte le sue pieghe, domandato a me stessa come ogni mattina il perché d’estate io non cambi la fodera dei cuscinoni che ho a fondo letto dato che questi sono invernali. E girato la testa a destra e a sinistra, in senso orario, per convincermi che questo mi basti a non sentire il gran dolore di cervicale che mi attanaglia. Ma tant’è, a convivere con l’errore ci sono abituata. Mi pento di non aver ancora imparato a seguire il suggerimento del mio insegnante di solfeggio, che nei miei teneri 12 anni sapeva già troppe cose di me, della donna che sarei diventata, e che non può vedere più con occhi terreni.
Potrei fare progetti incalzanti per la giornata odierna, ma ho già l’agenda piena di appuntamenti per il pomeriggio, e mi convinco di muovere i passi giusti dentro questo fine mese d’estate, in cui non piove da giorni e tutto sembra essersi fermato come in un documentario di bradipi, una sedia di legno rotta, un quadro storto in una casa disabitata.
Va tutto bene, le ore rotolano via con la sfrontatezza della mia giovane età, e non c’è niente di veramente preoccupante che non sia di ragione economica, ma tanto si è capito che siamo tutti sulla stessa barca, e quando si è in tanti a soffrire dello stesso male ci si sente avvolti in un unico grande abbraccio materno, e la barca naviga a pelo d’acqua, come un’anatra sul fiume.
Ma allora cosa manca?
Che cos’è questo vuoto che avanza lento, questa parata domenicale disordinata e stanca?
Che cosa manca a questo cuore, che io non riesca a vedere da me?
E che cosa mi servirà mai per capire tutto il resto, tutto questo, tutto e adesso?

Non lascio mai raffreddare il caffè nella tazza. Lo bevo sempre caldo, non bollente ma caldo. Ma ci sono giorni in cui vorrei fare tutto il contrario del solito, per vedere se uscendo dagli schemi posso scoprire che mi piace lo stesso il caffè se è diventato tiepido, e non curarmi dei dettagli più di tanto, dimenticando i punti di riferimento, i lacci alle scarpe, gli anelli alle dita.
E illudermi di essere felice senza di me.

mercoledì 26 agosto 2009

Cose di questo mondo.

Appartiene a questa Italia la notizia che potete leggere qui.

giovedì 20 agosto 2009

L'essenziale è invisibile agli occhi.

...Il cuore invece no, non può ingannarti.





Inferno bellissimo.

C'e' un inferno bellissimo
un inferno affascinante
che nelle sue fiamme
mi trascina
bruciando la parte
più acerba del mio vestito
e strappando pezzo per pezzo
il mio esile ed innocente corpo

Un inferno dolcissimo
che fra le sue calde pareti
mi avvolge
bruciando la parte
più falsa del mio io
infantile e incoerente

Un inferno dove vorrei
cadere piano ogni giorno
per l'insaziabile ansia
di rovente ingiustizia
che occupava il mio tempo

I miei occhi sono chiusi
le mie mani stanche
ho sete e soffro
ma non abbastanza

Scendo ancora una volta
solo una, una soltanto
nel mio amato groviglio
di libri.

E' un pò come.

È un po’ come parlare del proprio omicidio
con il proprio assassino.
È un po’ come chiedere al proprio salumiere
se i formaggi del suo banco sono freschi.
È un po’ come aver scelto di vivere a Milano
e lamentarsi ogni giorno di non avere un orto.

mercoledì 19 agosto 2009

venerdì 14 agosto 2009

Lasciatevi ipnotizzare.





Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
Non ricordi più il viso,non ricordi la voce
Quando il cuore ormai tace a che serve cercare
Ti lascio andare, forse meglio così
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
L'altro che adoravi, che cercavi nel buio
L'altro che indovinavi in un batter di ciglia
E tra le frasi e le righe e il fondotinta
Di promesse agghindate per uscire a ballare
Col tempo sai, tutto scompare.

Col tempo sai col tempo tutto se ne va
Ogni cosa appassisce e mi scopro a frugare
In vetrine di morti,quando il sabato sera
la tenerezza rimane senza compagnia.
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
L'altro a cui tu credevi anche un colpo di tosse
L'altro che ricoprivi di gioielli e di vento
Per cui avresti impegnato anche l'anima al monte
A cui ti trascinavi alla pari di un cane
Col tempo sai tutto va bene

Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
Non ricordi più il fuoco non ricordi le voci
Della gente da poco e il loro sussurrare
Non ritardare copriti con il freddo che fa.
Col tempo sai col tempo tutto se ne va
E ti senti il biancore di un cavallo sfiancato
In un letto straniero ti senti gelato
Solitario ma in fondo in pace col mondo
E ti senti ingannato dagli anni perduti
E allora tu, col tempo sai...non ami più.

Leo Ferrè.

venerdì 31 luglio 2009

lunedì 27 luglio 2009

Le cose piccole.





Pino Roveredo, "Mandami a dire".

domenica 26 luglio 2009

Ingredienti.

Ci vogliono dieci bugie, per fare una verità.
E almeno una trentina di schianti morali, per fare di te una scelta.
Ci vogliono dieci menzogne, per costruire una realtà che svegli l'anima dal torpore in cui sguazzi, e almeno un milione di stelle cadenti a cui non esprimere niente.

mercoledì 22 luglio 2009

sabato 18 luglio 2009

martedì 14 luglio 2009

La felicità?



Equilibrio.

E ti diverti, sì, ti diverti a prenderti gioco della mia anima.
Ma io non sono vento, e non sono nemmeno poesia.
E tu non sei più di quello che ostenti.
E tu non sei più di quello che non sai di essere.

E ti cancellerei, se sapessi come.

sabato 20 giugno 2009

In radio.





Questo blog diventa un programma radio.
Mi potrete sentire ogni lunedì, fino alla fine di luglio, alle 16.
In un'ora tenterò di dire un pò di cose, di leggerne delle altre, di farvi ascoltare della musica che scelgo per voi, e che si lega ad un argomento che scelgo per ogni puntata.

Vi aspetto...se non altro per conoscerci meglio.

Mi trovate qui:

www.fuoriaulanetwork.com

martedì 19 maggio 2009

Un giorno perfetto.

Oggi è uno di quei giorni che sembrano perfetti.
Forse sto solo constatando la veridicità della teoria che è sempre meglio svegliarsi un po’ prima, la mattina, e che faccio bene a dormire in modo ordinato, le mie solite otto ore, senza lasciarmi condizionare dalle vite degli altri, dal giudizio di chi crede che andare a letto presto (mezzanotte, si intende) sia da sfigati, da perdenti, e che non sia artistico, o interessante.
Li devo contraddire, tutti questi cialtroni prosciuttati.
Andare a letto quando si ha sonno, questo di dovrebbe fare! Senza tirare la corda a chissà quale orario.
La notte mi piace, ma quando la mattina si apre con un bellissimo sole, e molto presto, perché è estate, quasi estate e non vedi l’ora di prendere la bici e respirare l’aria dolce dei prati vicino casa…credo valga la pena di essere vissuta.
Ho scoperto che è vero, le giornate mi sembrano eterne quando mi sveglio anche solo un’ora prima del solito. Faccio un sacco di cose che solitamente non faccio, sistemo più cose, sono più attiva, respiro più a fondo, e non ho quelle occhiaie profonde da Dracula sotto gli occhi, che mi danno un aspetto lento e rugoso, e che non mi piace vedermi addosso.
Oggi è così che mi sento, come una liceale in procinto di scoprire il mondo, zaino in spalla e sogni in tasca.
Tutto è leggero, ogni gesto è accompagnato da un soffio di vita costante, e sorrido più volentieri. Dovrebbe essere prescritta come cura per tutti i pigri del mondo, questa. Sveglia alle 8, colazione leggera, e smetterla di rimandare a domani quello che puoi fare benissimo oggi, e sentirti meglio, molto meglio di quando posticipi a oltranza…e tutto si accartoccia nell’angolo, ed è difficilissimo poi toglierlo da lì, e pulire bene dove hai lasciato volontariamente un bel po’ di casino. E tutto questo per non agire. Che sembra più una lotta vana con se stessi, per altro piuttosto ridicola.

Oggi potrei anche sposarmi, se ne avessi il coraggio. Potrei camminare per ore, lungo il fiume, e godere della sensazione di piedi gonfi e doloranti, la sera, quando ritorno a casa e tolgo le scarpe da ginnastica che ho addosso dal mattino. La pace mi assomiglia, e penso abbia il volto di chi sa apprezzare le cose piccole che la vita regala, nei momenti in cui sei capace di lasciarti andare agli eventi, e assecondi le vere esigenze del tuo corpo, della tua mente, della tua anima.
Lo sapevo, infondo. Ci pensavo tutti i giorni che avrei dovuto, un giorno di questi semmai, fare un passo indietro e concedermi un risveglio più regolare.
Aveva ragione il mio intuito, e non ci vuole in effetti una scienza per capirlo. Ci sarà ben una ragione per cui, quando vai a scuola, sei costretto ad alzarti presto e a stare attento al maestro nelle prime ore della giornata.
Mi ricordo di me, ai tempi della scuola, e ho sempre questa immagine solare davanti agli occhi. Amavo, per certi versi, andare a scuola. In quelle aule ho respirato sensazioni che non ho mai più ritrovato, non esiste in nessun altro luogo lo stesso sapore di conquista, la stessa ansia di conoscenza, lo stesso inconsapevole trasporto verso le cose, verso la novità, e non esistono posti che abbiano l’odore della classe in cui ogni mattina entri, ti siedi e provi a capire chi sei.
Mi ricordo di me, all’uscita da scuola. Non volevo mai prendere l’autobus, avrei pagato per poter tornare a casa in motorino, ma era così obbligatorio… e io non ci ho mai fatto l’abitudine. Non c’era verso di non subire una sorta di pressa umana totale, che ti impediva a volte anche di scendere alla fermata giusta. Io non avrei mai osato spingere per scendere, e subivo anche la passeggiata inutile verso casa, pur di non alzare la voce. Speravo sempre che nessuno mi notasse. Mi immergevo nel walkman, a volume altissimo, e addio a tutti. Com’è buffo accorgermi che anche oggi faccio la stessa cosa, con l’unica differenza che sono più grande, minimamente più sicura di me.
Com’è dolce sapere che ci sono cose uniche, nella vita, e che finisci per apprezzarle nel momento in cui le ricordi. E come mi piace cercare di riportare al presente quel profumo inconfondibile che avevano i banchi verdi del liceo magistrale, pieni di scritte di scolorina e indelebile nero a punta grossa.

Io non voglio dimenticare, anche se il tempo ci prova sempre a cancellare gentilmente ogni cosa.
Io voglio riassaporare, e perché no, continuare a tentare di sentirmi sempre così, sempre curiosa, sempre fiduciosa nel domani…gli occhi aperti, le mani sul manubrio, schiena dritta e pedalata lenta con qualche scatto in piedi, per darsi una spinta sul rettilineo cittadino del tempo.

A testa in su, pronta a fermarmi al primo gelataio.

domenica 3 maggio 2009

Today.

Si analizza troppo.

Si perde troppo tempo in paranoie.





martedì 21 aprile 2009

Tenacia.

Me lo ricordo come se fosse ieri, la testa vuota e i pensieri leggeri.
Forse uno dei più grandi insegnamenti che io abbia mai ricevuto, è stampato nella mia mente come un marchio a fuoco.
Una persona che, nel presentarsi a te, ti stringe la mano con forza è una persona sincera. Ho sempre misurato le mie simpatie e approfondito o meno le mie conoscenze in base a questa antica teoria, e non ho sbagliato quasi mai.

Stasera ho mangiato arte.
E allo stesso tempo il suo contrario.
Sotto un cielo timidamente stellato, annuvolato e stanco, e sotto una cappa lieve di primavera in ritardo, ho ascoltato le parole del vento. I sussurri del tempo.
L'umidità di quelle mura non lascia lo spazio di respirare, si viene travolti da un turbine di ricordi, anche se non si è mai entrati lì dentro e non si era presenti quando tutto nasceva, prendeva corpo, viveva.
E' come se le travi di legno potessero parlare, e le gettate di malta potessero bisbigliare, le sedie gridare, i mattoni camminarti intorno, e invaderti l'anima, la coscienza addormentata.
Stasera non ho aspettato nemmeno una notte di sonno per iniziare a dirvi qualcosa di cui si dovrebbe parlare tutti i giorni, per strada e nelle case, nelle sale prove e nei corridoi a scuola, tra i balconi e le periferie. Tutti dobbiamo sapere, assopiti come siamo dall'indifferenza imperante che ci mastica il cervello. Voglio scrivere subito di qualcosa che comparirà presto (mi auguro) sui giornali, che tornerà ad essere attuale, che riprenderà a fare rumore. Non voglio perdere più un secondo del mio tempo, non voglio stare ferma a lamentarmi che la mia città dorma un sonno profondo e accondiscendente. Non voglio e non posso.

I suoi occhi sono stanchi.
Ma un cielo infinito li attraversa, e sembra quasi di poter intravedere se stessi lì dentro, in quell'iride affollata di pensieri e tentativi, di arte e di speranza.
La sua tenacia mi invade, ed io prego il cielo stanotte con forza, affinchè io sia così, proprio così alla sua età. E che questo desiderio non mi abbandoni mai.
Voglio essere autonoma, perchè niente più dell'autonomia spaventa il branco, perchè solo la forza d'animo di un essere umano attraversa il tempo a piedi nudi e fa di quell'essere qualcosa di eterno, qualcosa che nemmeno le cariche più alte del governo possono schiacciare, e nemmeno le pile più alte di scartoffie possono avvilire, e nemmeno l'indifferenza, nemmeno il silenzio, nemmeno la polvere odorosa di un teatro abbandonato a se stesso. In una città che dovrebbe essere culla dell'arte, madrina dei colori, signora della cultura.







Ezio Maria Caserta (1938-1997)



www.teatroscientifico.com



Testo tratto da un articolo pubblicato sul sito Verona.com il 10/04/2004



*Un teatro in attesa di risposta*

Molti ci chiedono quando il Teatro/Laboratorio riaprirà i battenti. Molti lamentano la lentezza di Palazzo Barbieri a questo riguardo. Molti, non solo da Verona, telefonano per sapere se qualcosa di nuovo è all’orizzonte.
Da mesi, anzi da anni, aspetto una risposta concreta sulla destinazione del Teatro/Laboratorio. Se penso a questo piccolo teatro, che ha pulsato per anni nel cuore di Verona, alla sua storia gloriosa, a Ezio Maria Caserta, alla sua indefessa generosa passione, ai suoi sacrifici e a quelli di tutti coloro che hanno creduto e “dato” insieme a Ezio e a me perché potesse essere una voce culturale libera nel cuore di Verona, il cuore mi si stringe e riprende a sanguinare assieme a quell’altra ferita mai rimarginata dal 27 luglio ’97.

E allora so che Ezio muore e rimuore ogni volta per l’incuria o l’indifferenza o la lentezza della macchina burocratica.

Non abbiamo mai avanzato al Comune, proprietario dell’immobile, richieste di finanziamenti per ristrutturare il Teatro, abbiamo sempre detto che eravamo pronti ad assumerci tutte le spese del suo restauro (come sempre del resto), abbiamo iniziato i lavori con i progetti approvati e i relativi permessi in regola, abbiamo rispettato le scadenze con i vari fornitori, abbiamo sventrato il teatro e abbiamo cominciato a ricostruirlo ancora una volta carichi di coraggio e di speranza e di sogni, quelle speranze e quei sogni che la nuova Amministrazione sembrava poter realizzare. Il contratto però non ci è ancora stato rinnovato e siamo stati costretti a interrompere i lavori in attesa di chiarimenti, che dovevano esserci dati nel giro di venti giorni, con gravi disagi per chi ci lavorava. Era novembre 2002. Ancora oggi non abbiamo avuto una risposta ufficiale.

Quello che credo di aver capito è che uno o due Assessori sono convinti dell’utilità del ripristino della funicolare, che altri, resisi conto forse dell’assurdità o dell’anacronismo di questo progetto, hanno optato per un ascensore “leggero”, so che il Sindaco sta valutando la possibilità di farlo coesistere con il Teatro/Laboratorio, che vorrebbe non fosse “intaccato”…
Forse i giovani non sanno che il Teatro/Laboratorio, nato nel 1970, è una struttura teatrale veronese che nel 1975 ha ottenuto in comodato dal Comune di Verona lo spazio dell’ex stazione di partenza della Funicolare di Castel S. Pietro per adibirlo a teatro. La funicolare, scarsamente attiva dal ’40 al ’44, era stata chiusa per mancanza di utenti (ed allora non c’erano tutte le macchine di oggi) ed era diventata il deposito di immondizie del quartiere fino al ’75, quando furono rimosse dal Teatro/Laboratorio. I lavori di sistemazione che fin da allora sono stati compiuti sono sempre stati sostenuti dalla compagnia teatrale, che aveva ottenuto un regolare permesso di agibilità. Il Teatro/Laboratorio era nel frattempo divenuto un importante spazio culturale e non solo per Verona (Salvatores, Benigni, Guccini, Paolo Conte, Gianna Nannini, Gino Paoli, Herlitzka, Paolo Poli, Giancarlo Sepe, Memè Perlini, Leo Ferrè, il Living Theatre…e tanti altri si sono alternati sulle tavole di quel piccolo teatro). Contemporaneamente la compagnia veronese aveva cominciato ad affermarsi a livello nazionale (nel 1975 Ronconi la invita alla Biennale di Venezia con la sacra rappresentazione “Storia della regina Rossana”, nell’’80 Scaparro con il varietà futurista “Briccatirakamékamé”…) e internazionale (numerose tournées all’estero con spettacoli di pura ricerca alternati ad altri di ricerca/recupero antropologico) vincendo molti premi (da Parigi ad Amburgo, da Mosca a New-York, da Atene a Montevideo, da Avignone a Praga, da Berlino ad Amsterdam, da Budapest a Città del Messico…; nel febbraio 2002 la compagnia veronese è stata scelta a rappresentare l’Italia alla grande festa per l’euro a Francoforte sul Meno). Dopo la tragica scomparsa di Ezio Maria Caserta, quando sono subentrata alla presidenza del Teatro Scientifico, resami conto che una parte della copertura del teatro era in amianto, sono stata costretta a chiudere per alcune stagioni il teatro in attesa di chiarire ed ottenere il rinnovo del comodato che mi consentisse di attivare i lavori di ristrutturazione indispensabili per la sicurezza del pubblico e per risanare l’immobile.

Le domande che sorgono spontanee non solo a me, o a quanti aspettano la riapertura del teatro, ma anche a tutti coloro che ci hanno tempestato di telefonate e di e-mail, dopo aver letto la dichiarazione fatta dall’assessore Tamellini sul giornale “L’Arena”, possono essere riassunte nel seguente modo:

· Quale utenza può avere oggi una funicolare o un ascensore “leggero” quando tutti possono comodamente raggiungere il colle con la macchina (esiste una scorrevole strada) o a piedi percorrendo la scalinata? Esiste già un grande ascensore posto a lato del Teatro Romano…
· Quale significato può avere una funicolare che taglia il verde del colle e interviene nel paesaggio proprio in un luogo di particolare fascino?
· E’ veramente un grande “affare” una “giostra” di questo tipo per superare un dislivello di 50 metri scarsi o non è più ragionevole impiegare il denaro pubblico in opere più utili alla comunità?
· E’ veramente un vantaggio economico per il turismo di Verona una funicolare, che attiva forse solo nei mesi estivi per alcune comitive, sarebbe inutilizzata negli altri mesi e, dopo il primo fervore, sarebbe dimenticata?

Varie tesi di laurea sono state presentate sul Teatro/Laboratorio e sulla sua ristrutturazione (tra le ultime ricordiamo quella discussa all’Università di Venezia, Facoltà di Architettura). Sappiamo che presso il Politecnico di Milano ci sono state esercitazioni e studi relativi al Teatro/Laboratorio e alla sua ristrutturazione. A parte la “ferita” del verde del colle proprio a ridosso del Teatro Romano, a parte la ferma intenzione degli abitanti della zona e di molti Veronesi di opporsi a un’opera del genere, a parte l’utilità discutibile di questa specie di “giostra” che rischierebbe di essere chiusa per mancanza di utenti dopo pochi anni, a parte il fatto che non si capisce perché non possano coesistere il teatro e un ascensore (se proprio si vuole far arrivare meccanicamente a Castel S. Pietro chi lo desidera… esistono vari progetti al riguardo: uno prevede la partenza dell’ascensore dalla terrazza del T/L, uno da Scalone Castello S. Pietro…), è veramente indispensabile alla città recuperare una funicolare o non è forse più meritorio recuperare uno spazio culturale che esiste da 29 anni?

Molti diranno che parlo da parte interessata, coinvolta affettivamente. E’ vero, ma come cittadina di Verona mi chiedo anche se questo progetto serva veramente ai Veronesi o non serva piuttosto agli ideatori. Una città dovrebbe andare fiera dei suoi artisti, aiutarli e non ostacolarli. Credo senza presunzione che il Teatro/Laboratorio sia stato importante per Verona, che dovrebbe custodirlo e considerarlo (assieme all’esperienza di altre realtà artistiche veronesi) un gioiello di famiglia e come tale tramandarlo.

Giovanna Caserta

martedì 31 marzo 2009

Passanti distratti.

Se fossimo davvero capaci di fermare la nostra mente sulle cose che contano, avremmo in mano la risposta ad ogni domanda. Non viaggiavo da sola in autobus da tempo, e per giunta ascoltando musica da asporto. Questa città la avrò vista già cento volte, ma oggi è diversa, è mia e la percorro a passo deciso come se ci vivessi da sempre, e sapessi tutto di lei. Non mi ero mai sentita davvero parte di questi luoghi, e a pensarci bene ultimamente ero anche un poco scettica nei suoi confronti, sbandieravo la teoria che qui non avrei mai potuto viverci. Troppo grigia, troppo strana, troppo quadrata, troppo di tutto. Ma allora perché oggi mi pare così piccola e accessibile?

Ecco, se potessi adesso scatterei una foto.
E’ un gioco di sguardi, perché non sento nulla se non la musica nelle mie orecchie, ma posso capire le dinamiche degli eventi dentro questa scarpa arancione rotante.
Ci sono due signore distinte che storcono il naso, anch’io ho sentito l’odore e stavo giusto aspettando che qualcosa accadesse, avevo dato tempo 15 secondi per iniziare i loro giri di nuca repentini, le loro espressioni indignate, i loro labiali contriti.
E’ seduta dietro di me, io non la vedo ma la sento, eccome se la sento. E’ lacerante la puzza che emana, potrebbe essere una donna e solo dopo me ne accorgo, ma non so perché lo sento anche prima di scorgere il suo passo stanco e parlante. Che è una signora mulatta, di un’età indefinita intorno ai quaranta, ha scarpe deformate e talloni strabordante, la borsa stracolma di stracci, i capelli raccolti alla meno peggio, un’espressione seria e consapevole, le mani di carta vetrata.
Le signore davanti a me non smettono di voltarsi, come se voltarsi servisse a far andare via l’odore dal mezzo di trasporto che sono costrette a condividere con l’anziana donna dietro di me.
E lei scende, poi. Il tempo di due fermate, quanto basta per inebriarci tutti.
Mette giù tutti e due i piedi e scompare nel traffico delle sei. Dietro di lei un vociare infinito, come sgorgano infiniti i tentativi di dare una propria opinione per forza all’accaduto, come se parlarne sollevasse tutti dalla pesantezza del pensiero di se stessi, consapevoli di avere tutto, ma proprio tutto dalla vita.

Passanti distratti, siamo proprio questo. Vaghiamo come fantasmi nel nostro tempo, ci sentiamo padroni del mondo e possedere ci rende vivi. Comunichiamo ad ogni angolo, ma solo attraverso un telefono. Ci sentiamo liberi quando andiamo al cinema, quando sbirciamo nelle vite degli altri, quando ci intromettiamo nei problemi dell’amico. Diciamo sempre la nostra opinione, non sappiamo più osservare, sappiamo solo guardare. E dall’occhio malato che ci incatena a noi stessi, amiamo solo le nostre mani, perché non sappiamo più distinguere, scegliere, capire. A fondo non ci scaviamo più, affondiamo solamente.
E che meraviglia sarebbe svegliarsi un giorno, per caso, da tutto questo torpore cosmico, e cominciare a sorridere ad un cane, salutare la cassiera, pagare senza fretta, accorgersi di non essere accorti di niente fino ad oggi…e iniziare a correre.

Quando un cantautore.



martedì 17 marzo 2009

Per sempre giovane.

Ho paura del tempo che passa.
Non posso negarlo.
Per sempre giovane!
Vorrei sapere che potrò indossare le allstar per ancora 30 anni e non risultare ridicola.
La radio passa proprio una cosa che mi piace.
Che cosa posso farci se amo la primavera, quando tutto rinasce e sembra che niente possa farti davvero male?
Per sempre giovane!
Forse se provo ad essere io, una foglia verde su un ramo del tempo, posso credere di attraversare la mia età che scorre, senza avere davvero paura di ingrigire.

Forse.

Centrale.

E come poter far coincidere due punti imprecisi
legando nel tempo le morbide scie che lasciano indietro
sul caldo tracciato violento del mare.
Tempesta di sogni
dilaga la notte.
E tutto ritorna per sempre imperfetto.

giovedì 12 marzo 2009

venerdì 6 marzo 2009

Le mie meraviglie del mondo_Parte 1

Il the caldo al mattino, con pane caldo, burro e confettura ai frutti di bosco.
Gli episodi de La signora in giallo.
Il caffè caldo dopo pranzo e dopo cena.
I ponti del centro di Verona.
Un pisolino dopo mangiato.
Il cibo messicano.
Il sud Italia.
Suonare scalza.
Il marmo fresco sotto i piedi.
Ikea.
I quaderni di carta riciclata.
Le pilot supergrip.
Un diario da incominciare.
Infradito e pantaloni corti.
Gli episodi de L’ispettore Derrick, d’inverno, prima di cena.
Un libro nuovo.
Hitchcock.
Tutti i dischi di Jovanotti.
Tutti i tramonti.
Le mezze maniche al pomodoro, con aglio e olio piccante.
Il primo giorno di scuola.
L’ultimo giorno di scuola.
Scartare un cd.
Le foto appese.
Cucinare con gli amici.
Le sorprese.

sabato 21 febbraio 2009

Agosto.

Seduta, cammino
porto il mio corpo verso la vita
mi nutro di ciò che raccolgo
in semplicità e purezza
ma la mia anima naviga
nell'insistente silenzio del cuore
e la pena sovrasta l'immenso
anche la duna più alta e attraente
che là sotto arde un fuoco
il mio, nel silenzioso dentro.

mercoledì 18 febbraio 2009

Sanremo?

Sanremo è come l'Italia.

Fa un pò di casino per un pò
E poi non se ne sa più niente.

Complicazioni.

La tua serenità è il mio tormento.
Di tutte le ferite
la peggiore che sento.

Se solo potessi io fermare
il tempo
lì, di fronte a te lo appoggerei
per sempre.

Nel mio eterno.

giovedì 29 gennaio 2009

Convinzioni N.1

Ero convinta che l’elettrauto fosse sempre chiuso perché ogni volta che passavo nelle vicinanze non vedevo mai nessuno lì fuori dalla porta in attesa del prossimo cliente.
Ero convinta che l’elettrauto, per antonomasia, stesse sempre fuori dalla porta in attesa del prossimo cliente, e che se non lo trovavi lì fuori dalla porta voleva dire che era chiuso.
Bene, dai. Anche oggi qualcuno ha smentito le mie inutili convinzioni.

Nel mare più grande.

Accendo una candela al mio silenzio
scrutando nelle pieghe dei miei errori
nei buchi del mio mancato orgoglio
tra gli slanci privati e le mezze luci

nel porto profumato
dove ho lasciato la mia barca
che ancora aspetta di essere traghettata
nel mare più grande che riesco a sognare.

mercoledì 28 gennaio 2009

Oggi.

Nell'aria, lo stesso profumo
nello stesso momento.

Annuso il coraggio del vento.
Avverto il passare del tempo.



domenica 25 gennaio 2009

La mia città.

E' in serate come questa che tutto mi sembra possibile.
Un cantautore, che fino a poche ore fa avevo solo sentito velocemente via internet, mi appare di fronte in tutta la sua arte, e mi sorprende totalmente.
Accade ancora che semplicemente mi emozioni, anche se spesso gioco a lamentarmi dello scarso appetito d'arte che la mia città subisce. Ci sono mille cose da fare che nessuno fa. Tutti hanno paura di rischiare, paura di sbagliare e anche chi sembra essersi messo in gioco, in qualche punto cade, e indebolisce la sua spinta sana a cambiare le cose.
Preferiamo sempre, di gran lunga, lamentarci.
Mentre fuori splende il sole.
E la voglia di rinascere siede là, sulla panchina del tempo che passa.

La mia città resiste alle intemperie
ai mutamenti
ai cambiamenti del mio tempo.
La mia città è più sincera quandodorme
quando tutte le sue strade sono vuote
e i suoi ponti danno spazio ai miei pensieri.

E mi pare quasi
di non avere confini.

martedì 20 gennaio 2009

Band.

Il concetto di band.
Una bottiglia di the appoggiata sul termo, odore di tabacco e di erba, piccoli regali condivisi, il suono costante di obiettivi comuni.
Lo strascico delle orme del passato non divora queste mura, ma lascia di se, nel presente, soltanto la traccia generosa del suo essere e amplifica i sensi.
A ricordare sempre chi siamo, che cosa siamo stati, cosa possiamo diventare.
Un'arancia appena sbucciata inarca il mio piacere.
E ogni volta ritorno.
E ogni volta sogno.

Cosa sto ascoltando

  • Nuru Kane "Sigil"
  • Glen Hansard "Rythm and Repose"
  • Meanza/Milenkovic EP
  • Colore "Io la notte"

Cosa sto leggendo

  • Virginia Wolf "Una stanza tutta per se"
  • Daniel Pennac "Abbaiare stanca"
  • Thomas Mann "Cane e padrone/Disordine e dolore precoce/Mario e il mago"

Ultimi film visti

  • "Midnight in Paris" di Woody Allen
  • "Carnage"
  • "Ed Wood" di Tim Burton
  • "Amabili Resti"
  • "Il discorso del Re"
  • "Batman Begins"
  • "Shutter Island" di Martin Scorsese
  • "Australia"
  • "Il diavoll veste Prada"
  • "Toy Story 3"
  • "Man on Fire"
  • "Agora"
  • "Elizabeth"
  • "La prima cosa bella" di Paolo Virzì
  • "Il riccio"
  • "Profondo rosso" di Dario Argento
  • "Viola di mare"
  • "Febbre da cavallo"
  • "La ragazza che giocava con il fuoco"
  • "Le conseguenze dell'amore" di Paolo Sorrentino
  • "Momenti di gloria"
  • "Vincere"
  • "Appuntamento a Belleville"
  • "Angeli e Demoni"
  • "L'amore ha due facce"
  • "Pane e Tulipani"
  • "L'olio di Lorenzo"
  • "L'ultimo imperatore" di Bernardo Bertolucci
  • "Solaris" di Andrej Tarkovskij
  • "Wall-e" Disney Pixar
  • "The LIbertine"
  • "Il Decalogo" di Krzysztof Kieslowski
  • "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati

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